Per Kawamoto Atsushi e Mayumi, la reinterpretazione della tradizione è il principio più importante del loro lavoro.
Kawamoto Atsushi e Mayumi hanno fondato il mA-style Studio nel 2004. Si sono stabiliti nella tranquilla prefettura di Shizuoka e questa serenità si ritrova facilmente nel loro approccio all’architettura. Secondo la loro filosofia, la cosa più importante da realizzare quando si comincia a lavorare su un progetto, è trovare il modo di integrare la struttura nell’ambiente nel quale sarà costruita. “Immaginando ogni modulo come una vera e propria casa, gli spazi vuoti fra i moduli possono essere considerati come sentieri o piccole piazze che ci danno l’idea di una città in miniatura avvolta dalla luce” spiega Kawamoto Atsushi. “Gli spazi vuoti che determinano la distanza fra le persone qui costituiscono delle dimensioni intermediarie per gli abitanti e degli elementi di legame tra interno ed esterno”.
“Gli esseri umani devono essere capaci di far fronte alla natura che li circonda. Poco importa il luogo dove viviamo, dovremo essere capaci di interagire con la natura come si deve. Certo, molte persone vorrebbero cambiare la natura, trasformarla, per poter vivere sempre nel confort, ma non siamo in grado di fare ciò, dobbiamo adattarci ad ogni ambiente e alle sue particolarità” aggiunge la moglie, Mayumi.
Il ruolo attribuito al posto è importante perché ogni luogo ha un’autentica influenza sul fatto che uno stile architettonico prevalga su un altro. “Siamo estremamente interessati all’architettura tradizionale giapponese” spiega Atsushi. “Non tanto per l’immagine, quanto per il concetto di spazio che sta alla base di queste forme. Nell’architettura tradizionale nipponica, i muri spessi non esistono. Ci sono invece tutta una gamma di muri e pareti sottili per controllare la distanza tra interno ed esterno, per proteggere o per aprire. Possiamo scegliere di volta in volta lo strato che resta permanente, correggere il livello di protezione e di intimità domestica a seconda delle situazioni e delle stagioni. . Tutto questo è basato sull’interazione fra architettura, natura e persone. Sono concetti interessanti che siamo in grado di reinterpretare in maniera contemporanea e moderna. Una delle caratteristiche dell’architettura giapponese è la semplicità. A volte è fin troppo minimalista, ma al tempo stesso questa semplicità è radicata nella cultura tradizionale locale. L’architettura giapponese è a volte anche molto concettuale. Questo può rappresentare tanto un punto di forza, quanto di debolezza, poiché viene capita in maniera limitata” aggiunge.
Il legame con la tradizione influenza l’idea che i Kawamoto hanno dell’originalità. “Penso che ispirarsi in maniera superficiale non sia interessante. Trovando ispirazione in maniera profonda e reinterpretando questo spirito in maniera nuova, grazie a nuove forme, ci si dimostra creativi. È in questo tipo di reinterpretazioni che si scorge l’originalità”, riflette l’architetto.
Mentre numerosi architetti occidentali accordano una grande attenzione all’aspetto esteriore di una struttura e al modo in cui questa si integra con gli edifici circostanti, i Kawamoto, come molti altri colleghi giapponesi, concepiscono la casa in maniera opposta. “Invece di rivolgere il nostro sguardo verso l’esterno, verso l’immensità dello spazio, preferiamo concentrarci verso l’interno per creare degli ambienti sereni in cui vivere, probabilmente difficili da apprezzare dagli occidentali al primo colpo d’occhio”.
La coppia crede profondamente nell’importanza di creare case funzionali, pensate specialmente per gli abitanti che si muovono al loro interno. “Tutto ciò che concepiamo è concentrato sulle attività delle persone” spiega Atsushi. “Ci interessa sapere ciò che la gente vuole fare all’interno dell’edificio”.
Riguardo al ruolo sociale dell’architettura, i Kawamoto pensano che oggi il ruolo dell’architetto non sia quello di dar vita a strutture razionali influenzate dalla realtà economica o politica, bensì quello di creare spazi di vita quotidiana che stimolino la sensibilità di ognuno. “In fin dei conti, cerchiamo costantemente di creare un ponte tra l’architettura per l’individuo e quella per la comunità .” J. D.