All’ombra delle piante da tè…

I Giapponesi hanno imparato a degustare il tè. Un apprendimento progressivo che si è trasformato in autentica arte.

Il tè di Uji è uno dei più rinomati del Giappone. La regione di produzione gode di condizioni climatiche perfette. / Elodie Hervé per Zoom Giappone

Come rendere felici gli ospiti con un sorso di tè?”. Si era ostinato per tutta la vita a riflettere su come far sì che il tè fosse bevuto nel modo più piacevole possibile». Questo estratto del romanzo Il segreto di un maestro di tè, firmato Yamamoto Ken’ichi, traduce bene l’aura di suggestioni che circonda questa bevanda, protagonista di un’arte puramente nipponica: la cerimonia del tè (cha no yu), il cui iniziatore fu Sen no Rikyu. La dimensione spirituale, quasi religiosa, della preparazione e della degustazione del tè in Giappone non ci deve far dimenticare che la diffusione di questa bevanda è assai recente. Se gli storici sono oggi concordi nell’affermare che il tè sarebbe stato introdotto nell’arcipelago al periodo Nara (710-794), la gran parte delle opere sul tema parlano dell’anno 805, riferendosi a un episodio specifico: il monaco Saicho di ritorno da un soggiorno in Cina avrebbe portato con sé una pianta di tè, e l’avrebbe fatta crescere nel giardino di Hiyoshi (Hiyoshi chaen) a Otsu, nella prefettura di Shiga.
Dieci anni più tardi, dopo che ebbe assaggiato in un tempio buddista la bevanda estratta dalla pianta, l’imperatore Saga (786-842) ordinò che questo arbusto fosse coltivato nella regione di Kyoto e nella stessa capitale in cui risiedeva. È per questa ragione che le piantagioni in quest’area del Giappone sono ancora oggi le più rinomate del Paese. Fra i luoghi scelti figura la città di Koka, nella prefettura di Shiga, dove si trovano alcuni fra i migliori produttori. Yamamotoen (275-1 Kami Asamiya, Shigarakicho, Koka, www.yamamotoen.co.jp) è uno di questi e una passeggiata in mezzo alle sue coltivazioni di tè ci permette di tornare indietro nel tempo. Questo primo contatto con la bevanda non convinse subito i Giapponesi poiché all’epoca, il modo adottato per prepararlo ne rendeva l’odore poco gradevole. Soltanto tre secoli più tardi, un nuovo metodo di preparazione, importato ancora una volta dalla Cina dal monaco buddista Eisai, fondatore della corrente zen, rivoluziona la consumazione del tè. La cottura al vapore delle foglie, il lasciarle seccare e poi ridurle in polvere sono alla base del matcha, che rimane il must fra i tè verdi. Durante lo stesso periodo, Eisai pubblica il Kissa yojoki (Piccolo trattato sulla buona salute grazie al tè) dopo aver curato lo shogun grazie a questa bevanda. Oggi non è più necessario vantarne le virtù, poiché la popolarità della bevanda nei nostri Paesi è dovuta soprattutto alle sue proprietà benefiche e ai suoi principi attivi. Dietro al tè verde, nome generico e pratico, si nascondono numerose varietà di piante (Yutaka midori, Okumidori, Asatsuyu, Kanaya midori, Benifuki, Yabukita, Sae midori, Sayama kaori, Oiwase, Goko) ognuna delle quali in grado di fornire un tè dalle sfumature diverse a seconda della tecnica di lavorazione. In Giappone il tè verde è«non-fermentato». Ciò significa che le foglie sono scaldate (in una fornace o al vapore) per arrestare il processo di fermentazione. Questo permette di valorizzare il carattere di ogni varietà e di procurare così quegli istanti di piacere intenso a chi lo sorseggia. Perché bere il tè in Giappone significa molto di più che spegnere la sete.

Odaira Namihei