In viaggio : Niigata, la terra promessa

La distilleria Imayo Tsukasa, nel cuore della città di Niigata, è stata fondata nel 1767. / Kazumi Kaneko


“Abbiamo recuperato un’antica tecnica che si basa sui gusci delle ostriche che utilizziamo per il trasporto dell’acqua. Noi ci prendiamo grande cura dell’ambiente e delle materie prime: così e solo così può nascere il vero sakè”, ci spiega sorridendo. Al largo di Niigata si profilano le montagne di Sado: sui suoi campi e sulle sue risaie possiamo vedere il volo del toki, l’ibis del Giappone, celebre emblema della prefettura ed animale in via di estinzione. Questo piccolo paradiso si sta però spopolando e conta ora solo cinque distillerie sulle più di cento di una volta.
“Da qualche anno hanno chiuso la scuola elementare. Questo è un luogo magico, possiamo osservare il più bel tramonto di tutto il Giappone” Obata Rumiko è tornata ad investire qui e nel 2010 vi ha aperto un secondo stabilimento fondando poi nel 2014 una scuola dove si organizzano dei seminari di formazione. Produrre sakè è “come occuparsi di un bebè, bisogna trasmettere il savoir-faire.” Ancor più vero dal momento in cui Obata Shuzô usa delle tecniche tradizionali dove il riso è fermentato a mano e all’antica “in sacchi che pendono dal soffitto”. Anche lei raffina il riso al 35%. “Si tratta di un sakè con una personalità fuori dal comune, berlo è come incontrare una donna che vorremo vedere e rivedere ancora”.
Obata Rumiko si è aperta al mondo e al momento propone le sue bottiglie in 14 Paesi, tra cui Stati Uniti, Singapore e Corea. Se in Europa la popolazione confonde con troppa facilità lo sgradevole alcol di riso cinese servito in degli pseudo-ristoranti di sushi con il raffinato sakè giapponese, degli intenditori si adoperano per far scoprire la bevanda agli inesperti. Lo chef stellato Guy Martin ad esempio propone dalla primavera i prodotti di sette distillerie di sakè di Niigata nel menù del suo ristorante, due stelle Michelin.
Lo chef del Grand Véfour, che “ha viaggiato in Giappone 100 volte” si dice sedotto da questo “Paese che colpisce nel profondo”. Si è infatti convertito al sakè, quello di Niigata in particolare, e ha selezionato di persona i sette della sua carta. Secondo la consistenza, più secca o più dolce, Guy Martin li abbina volentieri al foie gras, al carpaccio de Saint-Jacques, alle ostriche o ancora a dei dessert a base di cioccolato, di mele o agrumi ou agrumi. “Sono convinto che ben presto si parlerà dei grands crus di sakè con la stessa considerazione di quelli di vino, e questo accadrà in tutto il mondo”, afferma deciso.
Odaira Shunji non può che essere d’accordo, per lui il futuro del sakè è nella ricerca di una sempre maggiore qualità. Per questa ragione sta istituendo un partenariato con l’università di Bordeaux e l’università di Niigata propone dalla primavera un indirizzo sakè nelle sue formazioni. “Vogliamo creare un’enologia del sakè come in Francia esiste quella del vino, la specializzazione permetterà di continuare su questa strada eccezionale”, ci spiega, aggiungendo che per il momento non c’è motivo di spingere le vendite troppo oltre. “Niigata ha numerose distillerie, ma si tratta di piccoli stabilimenti a gestione familiare che non producono grandi quantità. Si tratta più che altro di conservare l’eccellenza nel trasmettere queste complesse tecniche, che permettono un gusto che si avvicina sempre di più alla perfezione: leggero, dolce ma anche ricco.” L’unione perfetta di riso e acqua.
Johann Fleuri