Dopo essere stata definitivamente chiusa nel 1989, la miniera fu conservata come esempio di patrimonio industriale ed è diventata un’attrazione turistica che ospita oggi dozzine di automi spaventosi che martellano. Ci sono due cave principali, una del periodo Edo (1603-1868) e un’altra del periodo Meji (1868-1912), per un totale di 400 km di tunnel (stessa distanza che separa Sado e Tôkyô). Dall’esterno ci si può recare su uno dei siti più emblematici dell’isola, la montagna che si trova sopra la miniera. Questa ha perso la sua parte centrale, come se un gigante l’avesse colpita con la sua ascia di guerra.
A parte la cava, la situazione geografica di Sado, dove si congiungono correnti calde del sud e il freddo del nord, la rese uno scalo vitale per i kitamaebune, navi mercantili che viaggiavano per il mare del Giappone e assicuravano gli scambi tra Osaka e Hokkaidô. Le navi acquistavano prodotti locali a prezzi inferiori prima di venderli a prezzi più cari in luoghi lontani. Prodotti popolari di Sado erano quelli in bambù e paglia, i cachi secchi, le reti da pesca, la pasta di miso, la salsa di soia e la bevanda degli dei, il sakè.
La città di Ogi divenne porto importante per il commercio di oro e argento, e il luogo dove i prodotti culturali provenienti da tutto il Giappone potevano entrare nell’isola. Ad esempio Sado Okesa, una canzone popolare giapponese, è ispirata ad una melodia
che viene da Kyûshû. D’altronde il Kojishimai è uno spettacolo di danza e musica shintoista apparso inizialmente nel Tohoku, a nord est dell’isola di Honshû.
Ai giorni nostri Ogi è una piccola cittadina tranquilla per gran parte dell’anno. Il santuario Kisaki, una delle rare testimonianze delle epoche antiche, è stato costruito per pregare per una navigazione sicura, ed è qui che l’oro e l’argento venivano immagazzinati prima di essere imbarcati sulle navi per lo Honshû.
L’ultimo obiettivo del mio soggiorno era Shukunegi, un villaggio un tempo abitato, di fronte ad una piccola insenatura a qualche chilometro a ovest di Ogi. Molti marinai vivevano qui, e Shukunegi possedeva, si diceva, un terzo della ricchezza totale di Sado, mentre oggi è una sorta di città fantasma (non ci sono che tre case aperte al pubblico). Lo spettacolo è davvero affascinante, oltre cento abitazioni su un ettaro di terra. I muri abbattuti dalle intemperie furono costruiti con delle assi di navi, dunque l’intera zona è oggi patrimonio nazionale da salvaguardare, per i suoi battelli e la sua architettura tradizionale.
Aspettando il traghetto per Niigata mi sono fermato in un piccolo ristorante di ramen, nascosto in un vicoletto. Nakamura-San, la proprietaria di circa sessanta anni, sembrava molto soddisfatta della sua vita e della sua boutique, aperta da sua nonna circa cinquanta anni fa. “Mi sono trasferita a Tôkyô poco tempo dopo il liceo, ma dopo qualche anno sono dovuta tornare a Sado e ci sono rimasta”, racconta. E mentre lei è tornata nella sua terra d’origine, in molti l’hanno invece abbandonata per sempre. Secondo lei, venti-trenta anni fa, 100 000 persone vivevano sull’isola, quando oggi sono meno di 53 000. Uno stormo di gabbiani ha accompagnato il traghetto fuori dal porto di Ryôtsu, mentre continuavo a guardare l’isola al tramonto, promettendomi che sarei tornato.
J. D.