Ricordo : Nel 1967, 007 invade il Giappone

L’agente segreto fa conoscenza con Aki (Wakabayashi Akiko), il suo omologo giapponese. Aki comunica a Bond di doverlo condurre presso l’agente locale dell’MI6, Dick Henderson. Nella scena successiva, gli spettatori sono trasportati come per magia a Ginza, dove la Toyota 2000 GT guidata da Aki accelera lungo la Nishi Goban-gai, una delle arterie più eleganti del quartiere. Bond incontra finalmente Henderson, ma quest’ultimo viene ucciso poco tempo dopo. 007 decide quindi di fare una visita a Osato Chemicals, che funge da attività di copertura per alcuni malfattori locali. La sede di Osato è in realtà il famoso hotel Otani di Tokyo, considerato con l’Imperial e con l’Okura come uno dei tre grandi complessi alberghieri della capitale.
Nel romanzo di Fleming, l’agente britannico soggiorna all’hotel Okura, ma gli sceneggiatori non hanno mantenuto quest’opzione. Costruito da una piccola società siderurgica con a capo Otani Yonetaro, un ex lottatore di sumo nonché collezionista di stampe, il New Otani ha aperto nel 1964, giusto in tempo per i Giochi Olimpici, ed è stato, fino al ’68, il più grande edificio della città. L’hotel era inoltre conosciuto per i suoi giardini, anch’essi ripresi nel film: è qui che viene ambientato il campo di addestramento ninja.
Le scene più rappresentative sono state girate a Tokyo, ma anche diversi luoghi dell’ovest del Paese figurano nella storia, a cominciare dal porto di Kobe, dove, sul molo, Bond e Aki lottano contro i cattivi di Osato (anche se viene fatto credere al pubblico che la scena si svolga a Tokyo). Nella seconda metà del film, troviamo poi il castello di Himeji e due luoghi della prefettura di Kagoshima, sull’isola di Kyushu: Akime e Shinmoedake. Il primo è un piccolo villaggio pittoresco dove il tempo pare essersi fermato e ancora oggi tutto sembra esattamente come cinquant’anni fa. I visitatori vi troveranno persino una stele commemorativa per ricordare il film. Sulla stele figurano le firme di Sean Connery, Albert Broccoli e Tanba Tetsuro, che interpreta il ruolo del capo dei servizi segreti giapponesi. Shinmoedake è invece un vulcano che, nel film, è utilizzato dai cattivi come base di lancio per missili. Dopo una grande eruzione nel 1959, il lago del cratere è rimasto relativamente calmo fino al 2011, quando il vulcano si è risvegliato, nel mese di gennaio, frantumando i vetri fino a 8 chilometri di distanza e innescando l’evacuazione forzata di una gran parte della popolazione nei dintorni. Da allora la zona è stata messa in sicurezza e il trekking sui bordi del lago dal santuario di Kirishima è nuovamente possibile. La camminata è piuttosto facile, dal momento che il sentiero è in piano. A cinquant’anni di distanza si può dire che Si vive solo due volte è invecchiato bene. La sola scena stonata è quella in cui Bond tenta di spacciarsi per un pescatore di Kyushu.
È truccato e camuffato in modo orribile. I truccatori sono riusciti a nascondere i due piccoli tatuaggi che l’attore porta sul suo braccio destro (“Scozia per sempre” e “Mamma e papà”), ma non hanno potuto fare niente per il suo aspetto generale. Immaginate un individuo alto e robusto che dice “ohayo gozaimasu” – buongiorno – con un impressionante accento scozzese. Le due Bond Girls non sono esattamente stupefacenti, in un certo senso sono fra le più “deboli” della serie – in particolare Kissy Tiger, interpretata da Hama Cie. Quest’ultima avrebbe dovuto interpretare Aki nel film, ma ha dovuto rivestire i panni dell’altra Bond Girl a causa del suo inglese limitato. Hama e Wakabayashi non possono rivaleggiare con le precedenti bombe sexy sul genere Ursula Andress o Claudine Auger, ma hanno avuto un gran numero di fan internazionali e soprattutto locali, grazie alle lunghe gambe non giapponesi! Hama è stata addirittura presentata da Playboy come “la Brigitte Bardot del Giappone”. Gli uomini occidentali sono stati colpiti probabilmente dalla scena in cui Bond è coccolato da un gruppo di ragazze in bikini, mentre Tanba afferma che “le donne sono nate per servire gli uomini”. È il genere di frase che si poteva sentire al cinema negli anni Sessanta.