Esperienza : Perfettamente a proprio agio


Con milioni di viaggiatori stranieri che visitano ogni anno il Giappone e una nuova legge sull’immigrazione che mira ad attirare diverse centinaia di migliaia di lavoratori nel futuro prossimo, numerosi giapponesi, naturalmente timidi all’inizio, si mostrano ansiosi quando si tratta di interagire con persone di culture diverse. Ecco perché Nagomi Visit è stata creata al contempo per chi ospita e per i visitatori.
“Desideriamo che chi aderisce al nostro progetto si diverta accogliendo persone provenienti da tutto il mondo”, prosegue Sanada Alisa. “Vogliamo portare il nostro contributo per aiutare il Giappone a diventare un luogo più conviviale per tutti. Molti giapponesi sono occupati dal lavoro o dall’educazione dei figli e non hanno il tempo o i mezzi per impegnarsi negli scambi culturali, sia attraverso i viaggi, sia attraverso gli studi all’estero o l’accoglienza di studenti stranieri. Il problema è ancora più grande per le persone che vivono nelle zone rurali e che non hanno accesso alle scuole di lingua o agli eventi culturali.”
Tenuto conto della timidezza e della riservatezza naturale di numerosi giapponesi nell’avvicinarsi agli stranieri, senza parlare della reticenza ad accoglierli a casa propria, avremmo potuto pensare che sarebbe stato difficile trovare volontari interessati a partecipare al programma.
Sanada Alisa è felice di constatare che, invece, in molti hanno reagito positivamente all’idea. “In particolare quando abbiamo cominciato ad avere più visibilità nei media. Sempre più gente è venuta allora a farci visita. In effetti, tutte le famiglie ospitanti cercano sempre più contatti con persone di nazionalità e culture differenti. Le famiglie con bambini desiderano che i loro figli abbiano più contatti col mondo esteriore”, ci confida.
Otto anni dopo il lancio di Nagomi Visit, l’associazione conta ormai più di 1000 membri volontari (famiglie, coppie e single) in tutto il Giappone e ha accolto più di 8000 ospiti originari di 67 Paesi, fra cui gli Stati Uniti, il Canada, l’Australia, Singapore e diversi Paesi europei. “All’inizio, le famiglie ospitanti si preoccupano del modo in cui dovranno accogliere gli invitati” spiega. “Chiedono se dovranno cucinare degli autentici pasti giapponesi o addirittura avere un vero look giapponese, anche se poi, in definitiva, questo conta poco.”

Ho provato per voi… Nagomi Visit
Durante un bel pomeriggio di sole, ho fatto la conoscenza della famiglia che mi ospiterà, i Kanehira. Masako, 37 anni, è venuta ad accogliermi alla stazione con le sue due simpatiche figlie, Miyoko, 8 anni, et Moko, 5 anni; quest’ultima teneva una lavagnetta colorata con scritto il mio nome. Uscendo dalla stazione, ho incontrato Motoki, 41 anni, che ci aspettava in macchina.
La famiglia ha aderito al programma nel marzo 2018 e tutti i membri sono rapidamente diventati degli habitué del programma Nagomi Visit. Hanno accolto 11 gruppi in poco più di un anno, fra cui dei giornalisti tedeschi specializzati nei viaggi, degli appassionati di ciliegi in fiore venuti dall’Argentina e coppie in luna di miele.
Le due bambine non sono affatto intimidite da un alto straniero con la barba e un orecchino. La loro riservatezza è durata all’incirca cinque minuti, prima di cedere di fronte al mio bel sorriso (!).
Arriviamo presto a casa e dopo aver giocato in giardino con delle bolle di sapone, entriamo all’interno per prendere un bicchiere di té d’orzo fresco e chiacchierare un po’. Masako e Motoki parlano benissimo l’inglese, hanno studiato all’estero, in Canada e in Australia.
I due si sono incontrati durante il loro primo soggiorno in Canada. Masako ha ottenuto una laurea presso l’Osaka Gaidai, una celebre università specializzata nello studio delle lingue straniere.
Ha lavorato in una scuola di conversazione inglese e insegna ormai da casa, occupandosi al contempo delle bambine. Motoki è ingegnere. Concepisce macchinari che fabbricano componenti per macchine fotografiche. Durante il tempo libero, ama dedicarsi allo sci e fare campeggio.
“Siamo sempre sorpresi quando i nostri invitati raccontano che viaggiano in Giappone per tre o quattro settimane, poiché qui, non possiamo andare in vacanza per così tanto tempo”, spiega. “Presso Canon, la società presso la quale lavoro, ci permettono di prendere dieci giorni di ferie ogni dieci anni come regalo per gli impiegati fedeli. Lavoro lì da sedici anni ormai. Non mi restano che quattro anni supplementari per avere vent’anni di anzianità e poter così ottenere più giorni di vacanza.” Masako spera che potranno viaggiare all’estero e andare a trovare alcuni amici conosciuti grazie al programma Nagomi Visit.
Motoki e Masako sono rispettivamente originari di Kyôto e Nara, parlano quindi il dialetto del Kansai (la regione di Osaka) a casa. “È per questa ragione che Miyako e Moko parlano un misto di giapponese classico e dialetto del Kansai (Kansai-ben)” racconta Masako.
“I primi anni dopo il nostro trasferimento nella regione del Kantô (Tôkyô e le sue sei prefetture vicine) non sono stati facili, poiché abitavamo in una zona rurale nella prefettura di Ibaraki (a nord-est della capitale) e non avevo amici.
Più di una volta, ho avuto la nostalgia della mia regione d’origine. Ma oggi viviamo a Kawasaki (a sud di Tôkyô) e ho fatto amicizia con i genitori di altri bambini. Senza contare le conoscenze nate con Nagomi Visit; ora mi sento finalmente a casa!”
“Un tempo sognavo di vivere all’estero e ho davvero amato la mia vita in Australia, dove ho trascorso due anni. Tuttavia, mi sono resa conto che mi trovavo più a mio agio in Giappone. Crescendo qui, tutto mi pareva naturale, quando invece abitavo all’estero, molti mi osservavano con curiosità e mi interrogavano sulla vita in Giappone. Quando spiegavo loro com’era la mia vita qui, realizzavo a che punto amassi il mio Paese. Posso dire di essere fiera di essere giapponese” prosegue. “Detto questo, capisco che la vita in Giappone possa talvolta essere una sfida. Ho una cara amica che si è trasferita in Canada. Torna soltanto una volta ogni cinque anni e ogni volta si sente a disagio qui. Suppongo che in un certo senso sia diventata canadese.”